E alla
fine mi sento persino in colpa di avere il mal di gola. In colpa di
non riuscire a liberarmi da preoccupazioni che per mia fortuna non
sono altro che scelte, perché ho sempre la possibilità di
scegliere, io...noi. Non loro però, che non possono far altro che
sognare un sogno che non gli appartiene. Noi non resisteremmo una
settimana là fuori, in quel mondo così storpiato da un essere umano
più selvaggio della natura selvaggia, che al suo confronto
impallidisce. È più sicuro il bosco fitto e verde e umido, della
mano tesa di un coetaneo; più sicura è la povertà onesta che il
tentativo di partecipare alla ricchezza dei responsabili. Noi abbiamo
mal di pancia psicosomatici e cervicali tesi, loro bevono l'acqua dei
fiumi e dormono se capita.
C'è
un mondo che ci sfugge in continuazione, che urla la sua presenza ma che
rimane nella penombra, al di sopra del quale s'innalza spavalda una
bolla di vetro, artificio dei liberi. C'è un mondo che è stato e
viene continuamente stuprato, impoverito, stravolto in una tortura
infinita che farebbe rabbrividire il più cattivo fra gli umani, ma
che a mala pena sfiora l'umanità tutta. Perché la percezione della
massa è sempre diversa, benché fatta della somma dei tanti, è
sempre qualcosa di altro. Lenta e silenziosa invita a non gettare lo
sguardo troppo lontano, suggerisce l'accettazione sibilandola, impone
l'individualismo facendo sì che i tutti rimangano soli, nel loro
bisogno, nel loro interesse, nel loro dolore, nella loro distrazione,
che è tutta per loro, tutta per noi, che soffochiamo, senza averne
il diritto, all'aria aperta.
In
quel mondo non si può scegliere di stare fermi e accontentarsi del
poco, perché lo spazio dell'umiltà è stato spazzato via da chi ha
dato il potere in mano ai criminali, per assicurarsi il proprio
lurido interesse, e così non si può scegliere il poco perché
spesso non si trova nemmeno quello. E poi cresci traviato dalla
contrapposizione, hai uno schermo che ti mostra che lassù, a nord
del mondo, c'è una bolla di vetro fantastica, dove i sogni si
avverano e tu la guardi e ti senti “uno zoo di animali nella pancia
che corrono” dalla voglia di andare a vedere; ti guardi intorno e
vedi baracche, e l'incongruenza è troppo forte da digerire. Peccato
che se il mondo è diviso in due, la bolla di vetro e il l'inferno
della fame, è proprio perché il secondo permette al primo di essere
così fantastico e una eccessiva emigrazione in questa direzione
romperebbe l'ingranaggio del sistema perfetto. Chi non ha niente però
non lo sa, non glielo dicono. Non può accorgersi di quanto a volte
possa essere importante il necessario, l'essenziale; non è suo
compito farlo. E fa schifo ma purtroppo lo capisce spesso ma non
abbastanza spesso, chi è nauseato dal superfluo, chi ha
quell'eccesso di “roba” che gli permette di dire “non so cosa
fare”, “non so cosa farne”, “non so”. Soffocati, senza
averne il diritto, dalla libertà di tutto, all'aria aperta.
Mentre
loro attraversano paesi su tetti di treni fatiscenti, abbandonano la
loro natura che forse non sanno nemmeno più di amare, costretti a
dimenticarselo. Quella natura che però gli rimane dentro, nel profondo, e
che viene fuori nell'immagine con cui si disegna la gioia, la
speranza: “ lo zoo di animali nello stomaco”. Il quindicenne
occidentale medio al massimo potrebbe dire qualcosa come: “ mi sento
come se avessi finito il gioco della play station”, o nel migliore
dei casi “come se avessi vinto la coppa campioni”. Loro hanno gli
animali dentro, ma non sanno riconoscerlo. Incolpevoli recitano una
parte che i liberi gli hanno assegnato.
È
stupefacente l'interezza con cui questi giovani attraversano
l'inferno: saldi in loro stessi, attaccati a quella fede senza la
quale si muore prima di arrivare.
Loro
sono tre, quelli di Lampedusa più di trecento, quelli di tutto il
mondo chissà quanti; chissà quanti esseri umani costretti a sperare
una speranza che non gli è concessa, a sognare un sogno che per loro
si lascia solo intuire.
Forse
l'occidente, il nord del mondo e la sua bolla di vetro, la bandiera a
stelle e strisce sporca di colpevolezza, è meglio guardarli da
dietro la ringhiera, per non rischiare di finire come carne da
macello, come fiocchi di neve nell'oblio del vento.
“Fratello
ti sei perso...passando per la frontiera”.